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La Rete Fare contro il razzismo a Mosca in vista dei Mondiali

Raffaella Chiodo, vicepresidente Rete Fare, traccia su Repubblica.it un bilancio dell'incontro con oltre 100 associazioni antirazziste

 

Il 1 dicembre Mosca ha ospitato i sorteggi per i gironi dei Campionati mondiali di calcio del 2018, che si giocheranno in Russia. Nello stesso giorno la Rete Fare-Football Against Racism in Europe, ha organizzato nella città russa un importante incontro per parlare di sport, razzismo e inclusione, cui hanno preso parte oltre cento organizzazioni antirazziste da tutto il mondo.

Raffaella Chiodo Karpinsky, vice presidente Fare, ha scritto un articolo di bilancio dell'incontro su Repubblica.it, che pubblichiamo di seguito.

"Nello stesso giorno in cui sono state sorteggiate le composizioni dei gironi e i relativi accoppiamenti dei Mondiali che si svolgeranno in Russia, la rete Fare-Football Against Racism in Europe ha organizzato a Mosca una conferenza in collaborazione con il locale Center for Interethnic Cooperation dal titolo "Impatto della Coppa del Mondo 2018 sulle relazioni inter-entniche e la promozione delle diversità”. Rappresentanti di autorità e minoranze etniche delle unidici città che ospiteranno le partite hanno discusso di quanto questa occasione possa essere sfruttata per rafforzare le relazioni tra comunità di diverse etnie e favorire un migliore rapporto fra queste e le minoranze etniche che in questo paese sono davvero numerose.

Al centro del dibattito però è naturalmente stato il fenomeno del razzismo e altre forme di discriminazione nel calcio. Un fenomeno che per lungo tempo le autorità politiche sportive locali hanno negato. Eppure il triste spettacolo del lancio delle banane e la propagazione dei versi nella scimmia negli stadi russi, non sono certo passati inosservati. Nessuno pensa che la Russia sia un caso speciale in questo ambito. Tutt'altro. Questa stessa stupidità razzista come sappiamo é assai diffusa nel resto d'Europa. E l’Italia, sappiamo ancora meglio, non è certo da meno. Il problema è che qui si insisteva a negarne l'esistenza, con la solita scusa del tifo che una volta tira un petardo, un'altra le banane…”cosa volete che sia?! “E’ normale tifoseria. E invece questa è un'offesa sia per i giocatori di origine africana che per i tifosi che non necessariamente devono essere degli idioti. E così la rete Fare, che raccoglie più di cento associazioni e gruppi in una cinquantina di paesi, e nella lotta al razzismo trova la sua ragion d'essere, ha riunito esponenti di istituzioni e società civile russe per provare a esercitare, nel limite del possibile, la propria influenza affinché si affronti questo problema in un momento forzatamente favorevole.

L'attenzione mediatica, al di là della situazione di tensione con l’occidente che permane a seguito del conflitto con l’Ucraina, che gli imminenti Mondiali di calcio richiamano, va colta anche per sostenere chi in questo paese conosce e combatte il fenomeno del razzismo ed è impegnato genuinamente nelle attività di accoglienza e solidarietà verso i migranti, soprattutto quelli “illegali”. Pascal, ex studente universitario arrivato a Mosca dal Camerun racconta di come il fenomeno del razzismo non sia uno scherzo in Russia. Naturalmente non crede che la Russia costituisca un’eccezione nel quadro europeo, ma ci tiene a raccontare l'esperienza degli studenti, che hanno dovuto abbandonare gli studi perché a fatica trovano un lavoro che gli permetta di sostenere i costi per rimanere in Russia.

Così in diversi sapendo giocare a pallone si offrono per giocare a livelli di squadre di base e non solo per permettere ai giocatori locali di confrontarsi e migliorare il proprio gioco. In questo modo quelli più bravi riescono a cavarsela abbastanza bene, gli altri semplicemente riescono a restare e a non dover tornare al loro paese senza aver potuto restituire il debito contratto per poter partire e affrontare il viaggio della speranza. Alla conferenza sono intervenuti  due ragazzi, uno della Guinea Conacry e l’altro pure lui camerunense che hanno raccontato della loro concreta esperienza. Da ormai più di due anni vivono, anzi sopravvivono come ci tengono a sottolineare, da “immigrati illegali” grazie alla loro capacità di giocare a calcio. Questo è il solo passaporto che gli permette di restare.

Parlano della realtà dei centri dove vivono riparandosi dal freddo e dalla fame grazie ad alcune persone buone e gruppi, spesso legati alla chiesa, che si fanno carico della loro disperazione e offrono loro un riparo e aiuto. Nel corso del loro intervento hanno detto alle autorità e alla platea: “il fatto di essere illegali non vuole dire cessare di essere umani”.  Descrivono una realtà che per loro è fatta di ombre: “Siamo fantasmi e dobbiamo restare tali. E’ la nostra salvezza. Anche per venire qui abbiamo dovuto prendere un taxi con l’aiuto di nostri amici, perché la Metro per noi sarebbe stato un rischio troppo grande. Spesso ci fermano solo perché neri”. 

Una cosa è certa, la conferenza  è stata un’occasione utile per aprire una finestra su una realtà che accomuna la Russia a quella di tanti paesi. Tra questi l’Italia che spesso registra sui campi di calcio e nella società in generale e che richiede un colpo di reni da parte di tutta la comunità internazionale, ognuno dalla propria posizione, istituzioni e società civile, per riconoscere il male nei tanti e diffusi segnali, di razzismo e trovando la maturità e coscienza per gestire l’accoglienza di chi fugge da guerre e fame e anche solo in cerca di una vita migliore.  Bisogna accogliere i tifosi che arriveranno dal resto del mondo, condannando una volta per tutte e in modo esplicito le frange violente protagoniste degli scontri e scempi che in Francia misero a ferro e fuoco alcune città durante EURO2016. Si è finalmente fatta strada la consapevolezza che per evitare disastri bisogna prendere il toro per le corna e prima ancora ammettere che il toro esiste e che non può portare nulla di buono". (di Raffaella Chiodo Karpinsky, vice presidente Board FARE)

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